La Suprema Corte ha giudicato cumulabili la carica di amministratore e l’attività di lavoratore dipendente della stessa società di capitali purchè sia accertata l’attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale ed il vincolo di subordinazione, ossia l’assoggettamento nonostante la carica sociale al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell’organo di amministrazione della società. L’onere probatorio spetta in tal caso all’ente previdenziale in quanto soggetto tenuto alla dimostrazione dei fatti costitutivi dell’obbligo contributivo.
Il caso si riferiva a due lavoratori subordinati, entrambi membri del C.d.A. della società (di cui ciascuno dei due era socio al 50%), sia pure con riserva, nella delibera di loro nomina, della necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali (comprese quelle relative al personale). L’INPS aveva contestato la natura subordinata del rapporto di lavoro, rilevando che ostava alla costituzione di un vincolo di subordinazione alla società amministrata la decisività della volontà di ognuno dei due nella formazione del processo decisionale.
L’ordinanza ha respinto le pretese dell’INPS, confermando la cumulabilità della carica sociale e del rapporto di lavoro subordinato e sottolineando che a tal fine occorre che sia accertata l'attribuzione di mansioni diverse da quelle proprie della carica sociale. Inoltre, è necessario che sussista l'assoggettamento, nonostante la carica sociale, al potere direttivo, di controllo e disciplinare dell'organo di amministrazione della società. Il provvedimento sottolinea che questa circostanza ricorre qualora sia individuabile la formazione di una volontà imprenditoriale distinta, tale da determinare la soggezione del dipendente - amministratore ad un potere disciplinare e direttivo esterno, sì che la qualifica di amministratore costituisca uno "schermo" per coprire un’attività costituente, in realtà, un normale lavoro subordinato. In tal caso, risulterebbe provata la soggezione al potere direttivo e disciplinare di altri organi della società e l'assenza di autonomi poteri decisionali.
Quanto al caso concreto, la qualità di entrambi i lavoratori di membri del C.d.A. della società, stante la previsione nella delibera di loro nomina della necessità di una decisione congiunta di entrambi sulle principali scelte gestionali, comprese quelle relative al personale, faceva sì che non fosse rilevabile un autonomo potere direttivo sul personale rapporto di lavoro, invece conferito a un diverso centro decisionale di "amministrazione congiunta sovrapersonale".
Cassazione Civile Sez. Lavoro Ordinanza 27.01.2022 n. 2487