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Ed. Giugno 2023

REATI D.LGS. 231/2001 E SANZIONI INTERDITTIVE

L’apparato sanzionatorio del D.Lgs. 231/2001 prevede che oltre alle sanzioni pecuniarie, applicabili sempre, per talune fattispecie di reati sono irrogabili anche quelle interdittive, che l’art. 9, c. 2, indica nelle seguenti:
  1. interdizione dall’esercizio dell’attività;
  2. sospensione o revoca di autorizzazioni, licenze o concessioni funzionali alla commissione dell’illecito;
  3. divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, salvo che per ottenere le prestazioni di un pubblico servizio;
  4. esclusione da agevolazioni, finanziamenti, contributi o sussidi e l’eventuale revoca di quelli già concessi;
  5. divieto di pubblicizzare beni o servizi.
Le sanzioni interdittive possono avere una durata tra 3 mesi e 2 anni, e sono applicabili al ricorrere di almeno una delle seguenti condizioni (art. 13):
  • l’ente ha tratto dal reato un profitto di rilevante entità e il reato è stato commesso da soggetti apicali o da soggetti sottoposti all’altrui direzione, nel secondo caso se la commissione del reato è stata determinata o agevolata da gravi carenze organizzative;
  • in caso di reiterazione degli illeciti.
Relativamente alla seconda condizione, si sottolinea l’importanza di prevedere nella redazione dei modelli organizzativi, specie se si tratta di quelli c.d. “riparatori” (art. 17), l’inserimento di indicazioni circa l’eventuale esistenza di precedenti contestazioni e/o condanne per reati 231 all’Ente o ai suoi amministratori. La reiterazione delle condotte illecite può anche comportare l’applicazione in via definitiva (art. 16) dell’interdizione dall’esercizio dell’attività, del divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione o del divieto di pubblicizzare beni o servizi. Al riguardo, l’art. 20 recita che “si ha reiterazione quando l’ente, già condannato in via definitiva almeno una volta per un illecito dipendente da reato, ne commette un altro nei 5 anni successivi alla condanna definitiva”.
Le sanzioni interdittive non si applicano se chi ha commesso il reato ha agito nel prevalente interesse proprio o di terzi e l’Ente non ne ha ricavato un vantaggio o questo è stato minimo; il danno patrimoniale cagionato è stato di particolare tenuità.

Per quanto riguarda i criteri di scelta (art. 14), le sanzioni interdittive hanno a oggetto la specifica attività cui si riferisce l’illecito dell’ente, tenuto conto dell’idoneità delle singole sanzioni a prevenire illeciti del tipo di quello commesso. In ordine al divieto di contrattare con la Pubblica Amministrazione, questo può essere circoscritto a determinati tipi di contratti o a determinate amministrazioni, mentre all’interdizione dall’esercizio di un’attività consegue la sospensione o la revoca di autorizzazioni, licenze, concessioni funzionali allo svolgimento dell’attività stessa. L’interdizione dall’esercizio dell’attività si applica solo quando l’irrogazione di altre sanzioni interdittive risulta inadeguata, e se ritenuto necessario le stesse possono essere applicate anche congiuntamente.
È prevista la reclusione da 6 mesi a 3 anni per chiunque, nello svolgimento dell’attività dell’Ente a cui è stata applicata una sanzione cautelare interdittiva, trasgredisce agli obblighi o ai divieti inerenti a tali sanzioni o misure (art. 20).

Dal quadro sopra esposto, è di tutta evidenza la maggiore “rischiosità” costituita dalle sanzioni interdittive rispetto alle pecuniarie: si pensi all’ente, che opera in via esclusiva con la Pubblica Amministrazione, sanzionato, anche solo per 3 mesi, con il divieto di contrattare con la medesima, ciò per lui significherebbe decretarne l’estinzione, con evidenti gravi ripercussioni, per esempio, sul mantenimento dei posti di lavoro. In merito, nella sentenza n. 13936/2022 la Suprema Corte ha sancito il principio secondo cui nell’applicare le misure cautelari interdittive, il giudice deve tenere in opportuna considerazione il principio di proporzionalità delle medesime, evitando che i loro effetti comportino la possibile estinzione dell’Ente colpevole.