Il 30 giugno si è chiusa, per le imprese che rientrano nel campo di applicazione della CIGO, la possibilità di avvalersi della integrazione salariale COVID -19: di conseguenza, a fronte di richieste finalizzate a situazioni contingenti (CIGO ordinaria) o a situazioni più complesse come la crisi aziendale o la riorganizzazione (CIGS) è necessario far ricorso alla casistica ed alle procedure del D.L.vo n. 148/2015, con la sola eccezione del pagamento del contributo addizionale (art. 40, comma 3, del D.L.vo n. 73/2021) che, ricordo, è pari, rispettivamente, al 9%, al 12% ed al 15% sulla retribuzione che sarebbe dovuta al singolo lavoratore per le ore integrate, la cui entità è correlata alla fruizione, nel tempo, di ammortizzatori entro il quinquennio mobile. Tale esonero cesserà il 31 dicembre 2021 (decreto legge n. 73 del 2021, decreto Sostegni bis ).
A fronte di ciò, ricorda il comma 4, restano preclusi, per il periodo che intercorre tra la data della richiesta di integrazione e fino al termine della stessa, sia il ricorso ai licenziamenti individuali per motivi economici che le procedure collettive di riduzione di personale. Restano, comunque, al di fuori dalla preclusione le “ipotesi classiche” richiamate anche in provvedimenti precedenti che fanno riferimento a:
- Cambi di appalto allorquando l’impresa subentrante è obbligata ad assumere tutto il personale in forza, sulla base di una norma di legge, di contratto o di clausola inserita nel contratto di appalto;
- Cessazione definitiva dell’attività di impresa, oppure cessazione definitiva conseguente alla messa in liquidazione senza continuazione, neanche parziale dell’attività, senza che si configuri una cessione di beni da considerare come trasferimento o cessione di azienda: il tal caso, i lavoratori sono garantiti dall’art. 2112 c.c.;
- Fallimento, senza continuazione, neanche parziale, dell’attività;
- Accordi collettivi finalizzati a risoluzioni consensuali del personale al quale viene riconosciuta, in via eccezionale, in presenza dei requisiti oggettivi e soggettivi, la NASPI.
E' opportuno ricapitolare, seppur in maniera sintetica, le questioni che i datori di lavoro che chiederanno le integrazioni saranno chiamati ad affrontare e che sono completamente diverse da quelle con cui hanno avuto a che fare durante l’esperienza degli ammortizzatori sociali COVID-19.
Anzianità di lavoro nell’unità produttiva
Il requisito richiesto, in via generale, è quello di una anzianità presso l’unità produttiva (e non, quindi, l’azienda) per la quale si chiede l’intervento, pari ad almeno 90 giorni di lavoro effettivo, a prescindere dalla quantificazione oraria, maturati alla data di presentazione della istanza di concessione. Tale requisito temporale non è previsto allorquando la richiesta di integrazione salariale discende da eventi oggettivamente non evitabili. Il requisito dell’anzianità non era preso in considerazione per le integrazioni COVID-19 che facevano, unicamente, riferimento al personale in forza ad una determinata data.
La circolare del Ministero del Lavoro n. 24/2015 declina il significato di giorni di lavoro effettivo che ricomprendono anche quelli nei quali si è verificata l’assenza per ferie, festività ed infortunio. Anche i periodi di astensione obbligatoria dal lavoro per maternità debbono essere computati sulla scorta della sentenza della Corte Costituzionale n. 423 del 6 settembre 1995: tutto questo in analogia con la previsione dell’art. 16, comma 1, della legge n. 223/1991 relativa all’anzianità aziendale per la procedura collettiva di riduzione di personale.
Un caso del tutto particolare riguarda l’anzianità del dipendente che è passato, a seguito di cambio di appalto, alle dipendenze di un nuovo datore di lavoro: qui vale il principio dell’anzianità nell’appalto, nel senso che si computa anche quella acquisita quando era in forza presso il precedente imprenditore. Nella sostanza, abbiamo l’anzianità di appalto che non è un concetto nuovo ma che è già stato utilizzato, per altri fini, dal Legislatore delegato nell’art. 7 del D.L.vo n. 23/2015.
La circolare n. 197/2015 dell’INPS nota, giustamente, che in caso di trasferimento di azienda ex art. 2112 c.c., conservando i lavoratori tutti i diritti che discendono dal rapporto precedentemente instaurato, ai fini della verifica del requisito dell’anzianità di lavoro di 90 giorni, occorrerà tener conto del periodo trascorso alle dipendenze del cedente.
Il requisito dei 90 giorni non è richiesto (art. 1, comma 2) per le istanze relative a trattamenti di CIGO dovuti ad eventi oggettivamente non evitabili (come potrebbe essere quella per COVID-19, secondo l’interpretazione amministrativa dall’INPS con circolare n. 133/2020): la dizione comprende, afferma la circolare n. 197/2015, anche quelle edili ed affini e le imprese di escavazione e lavorazione di materiali lapidei.
La circolare INPS n. 139/2016 ha chiarito che:
- ai fini del calcolo dei 90 giorni per l’anzianità nella unità produttiva laddove l’orario è articolato su 5 giorni lavorativi, viene calcolato, oltre che la domenica, anche il sabato;
- nel calcolo dei 90 giorni di anzianità nell’unità produttiva non rileva l’eventuale cambio di mansioni o di livello, in quanto la norma richiede soltanto il calcolo dell’anzianità nell’unità e non nel livello o nelle mansioni.
La circolare n. 14 del Ministero del Lavoro del 26 luglio 2017 ha specificato, inoltre, un aspetto particolare che, talora, si rinviene nell’istruttoria delle istanze di integrazione salariale straordinaria: quello dei lavoratori trasferiti da una unità produttiva all’altra (entrambe in CIGS) dopo la presentazione della domanda. La Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione ha chiarito che il requisito dei 90 giorni deve essere posseduto dai lavoratori all’atto della presentazione dell’istanza e che è del tutto ininfluente ai fini dei riconoscimenti della indennità, il fatto che gli stessi (o parte di loro) siano stati trasferiti in un’altra unità produttiva in CIGS, in quanto ciò rientra nella potestà imprenditoriale, finalizzata a superare le inefficienze gestionali, alle quali deve contribuire lo stesso istituto della integrazione salariale straordinaria.
Altro aspetto da tenere in considerazione riguarda i lavoratori in forza con contratto a tempo determinato: l’art. 19-bis del D.L. n. 18/2020 (richiamato in successive decretazioni e nella stessa legge di Bilancio per il 2021),ha specificato, con una norma di interpretazione autentica, che i contratti a tempo determinato ed in somministrazione, in considerazione della situazione emergenziale, possono essere rinnovati o prorogati al solo scopo di far fruire l’ammortizzatore COVID-19: qui l’art. 40 non dice nulla e, a meno che, in sede di conversione non si provveda altrimenti, i lavoratori con rapporto a termine cessano alla scadenza e non è possibile ricorrere alla integrazione salariale del D.L.vo n. 148/2020 (che risponde a regole diverse), al solo scopo di far fruire agli stessi l’ammortizzatore sociale.
Pagamento delle integrazioni salariali
Per gli ammortizzatori COVID-19 si è assistito a forme diverse per il pagamento delle integrazioni salariali, con una certa prevalenza per il pagamento diretto.
Diverso è il discorso per il D.L.vo n. 148/2015. Il principio generale stabilito dall’ art. 7 è rappresentato dal pagamento da parte del datore di lavoro delle integrazioni salariali, con applicazione dell’istituto del conguaglio.
Ma cosa succede se l’azienda dichiara di non essere in grado di anticipare il trattamento di integrazione salariale ordinaria?
Qualora ciò sia ritenuto plausibile, anche a seguito di accertamenti, l’INPS paga direttamente i lavoratori, ivi compresi gli assegni familiari, se spettanti. L’autorizzazione al pagamento diretto, invece, spetta al Ministero del Lavoro in caso di integrazione salariale straordinaria che, se del caso, chiederà solleciti accertamenti al servizio ispettivo dell’Ispettorato territoriale del Lavoro: essa, di regola, viene stabilita nello stesso provvedimento di concessione ma è, ovviamente, soggetta a revoca nel caso in cui gli organi di vigilanza accertino il venir meno delle difficoltà economiche.
La circolare n. 24/2015 del Ministero del Lavoro ha disposto che entro 30 giorni dalla presentazione dell’istanza di pagamento diretto, gli organi di vigilanza periferici debbono presentare alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali una relazione comprovante le difficoltà finanziarie dichiarandolo espressamente sulla base di un esame dell’indice di liquidità riferita all’anno in corso. Esso deve essere negativo, con valore inferiore all’unità, come risultante dal rapporto di due fattori: quello delle liquidità immediate e quello delle passività correnti. In caso eccezionali, aggiunge la nota ministeriale, l’organo di vigilanza potrà avvalersi sia dei verbali del Consiglio di Amministrazione che delle relazioni del rappresentante dell’azienda. Se dalla relazione dovesse emergere che non ci sono le difficoltà di ordine finanziario che postulano il pagamento diretto, il Ministero, attraverso la Direzione Generale degli Ammortizzatori, procederà alla revoca a partire dalla data della relazione ispettiva.
Da ultimo occorre evidenziare come la circolare ministeriale, dopo aver radicato la competenza per gli accertamenti, sull’Ispettorato competente per territorio, stabilisce che nel caso in cui l’accertamento delle difficoltà finanziarie riguardi più unità produttive ubicate in Province o Regioni diverse, esso deve essere effettuato dal Servizio Ispettivo ove insiste la sede legale.
Causali per la CIGO e per la CIGS
Il ritorno agli ammortizzatori del D.L.vo n. 148/2015 fa rivivere le specifiche causali sia per la CIGO che per la CIGS.
Ciò significa che per le prime (sono le aziende indicate nell’art. 10) occorre riferirsi all’art. 11 e precisamente a:
- Situazioni aziendali dovute ad eventi di natura transitoria e non imputabili all’impresa od ai lavoratori, incluse le intemperie stagionali. Tra di esse rientrano, senz’altro, la mancanza di lavoro intesa come mancanza o rarefazione di commesse, la crisi di mercato, la mancanza di materie prime non dipendente da inadempienze contrattuali, l’interruzione di energia elettrica dovuta a fatto dell’Ente erogatore, incendio, eventi naturali diversi dalle intemperie (ad esempio, alluvioni, terremoti, ecc.), incendi, sciopero “a monte” con mancanza di materie necessarie per la lavorazione, guasti di macchinari (nonostante la ordinaria manutenzione), perizia di variante o suppletiva dipendente da fatti imprevedibili, ordine di pubblica autorità non ascrivibile a comportamento inadempiente dell’imprenditore come, ad esempio, la sospensione dell’attività imprenditoriale ex art. 14 del D.L.vo n. 81/2008;
- Situazioni temporanee di mercato, come la crisi che non deve dipendere da mancanze strutturali dell’impresa.
Per le causali da CIGS è, invece, l’art. 21 a richiamarle nello specifico:
- riorganizzazione aziendale, nel limite massimo di 24 mesi, anche continuativi, nel quinquennio mobile, per ciascuna unità produttiva, ove il piano di interventi, da allegare all’istanza, deve tendere a superare le inefficienze gestionali, commerciali o produttive e contenere indicazioni sugli investimenti e la formazione, con un consistente recupero occupazionale del personale interessato alle sospensioni o riduzioni di orario, il quale deve essere ricollegato, sia in termini di entità che di tempi, al processo riorganizzativo. Il programma va definito anche nel caso di riassetto societario, dell’impresa o della sua articolazione produttiva. Il valore medio degli investimenti programmati che comprendono anche gli eventuali investimenti sulla formazione e sulla riqualificazione professionale, comprensivi sia dei contributi pubblici nazionali che dei fondi comunitari, deve essere superiore al valore medio annuo degli investimenti, di analoga tipologia, operati nel biennio antecedente. Per tutte le sospensioni decorrenti dal 24 settembre 2017 le autorizzazioni possono riguardare al massimo l’80% delle ore lavorabili nell’unità produttiva durante l’arco temporale del programma autorizzato, come ricordato anche dalla circolare del Ministero del Lavoro n. 16/2017 che ha fornito una serie di chiarimenti operativi. Per quel che riguarda il recupero occupazionale dei lavoratori interessati, viene fissata una percentuale minima del 70%: tale percentuale comprende sia i lavoratori riassorbiti all’interno che quelli trasferiti in altre unità produttive della stessa impresa o di altre aziende, nonché iniziative finalizzate alla gestione non traumatica degli esuberi (procedure collettive di riduzione di personale con “criteri non oppositivi”);
- crisi aziendale (in alcune ipotesi -v. art. 44 del “decreto Genova”, reiterato nel tempo-, anche in caso di cessazione di attività) ove per crisi, per un massimo di 12 mesi anche continuativi, si intendono una serie di difficoltà non superabili nel breve periodo e non affrontabili con il ricorso agli ordinari ammortizzatori sociali. Il piano di risanamento deve essere finalizzato al superamento degli squilibri di varia natura esistenti nell’impresa anche se condizionato da fattori esterni. La crisi aziendale, tuttavia, può dipendere anche da un evento imprevisto ed improvviso, esterno alla gestione aziendale ove, evidentemente, l’andamento involutivo relativo al biennio precedente potrebbe anche non esserci (si pensi, ad esempio, ad uno stato di crisi conseguente ad un provvedimento governativo che ha posto sanzioni commerciali, nei confronti di un Paese estero, con il quale si svolgeva gran parte dell’export). Qui occorre rappresentare la imprevedibilità dell’evento e la rapidità dello stesso che ha prodotto effetti negativi: in tali ipotesi, ai fini dell’autorizzazione, non vanno esaminati i criteri legati all’andamento involutivo del fatturato e delle assunzioni;
- contratti di solidarietà difensivi, in ipotesi diverse da quella specifica “normata” dal comma 1, dell’art. 40 del D.L. n. 73/2021). Il D.M. n. 94033 del 2016 chiarisce che l’accordo aziendale sottoscritto con le organizzazioni comparativamente più rappresentative sul piano nazionale: a livello aziendale le stesse sono soltanto le “loro” RSA (art. 51 del D.L.vo n. 81/2015)o la RSU deve ipotizzare una riduzione di orario al fine di evitare in tutto o in parte i licenziamenti. L’esubero va quantificato e motivato: il contratto di solidarietà non è applicabile all’edilizia in caso di fine lavoro o fase lavorativa e, quindi, in tale specifico settore se l’accordo riguarda i “lavoratori permanenti” questi vanno riportati nominativamente nell’accordo, distinguendoli da quelli di cantiere. Il contratto di solidarietà non è previsto per i lavoratori con contratto a termine legati ad esigenze stagionali ed è ammissibile per i “lavoratori a tempo parziale” strutturali nella organizzazione del lavoro: per costoro risulta ipotizzabile la ulteriore riduzione di orario. In caso di minore ricorso alla solidarietà, per sopravvenute esigenze lavorative, il datore di lavoro, ricorda il D.M. n. 94033, deve darne notizia sia alla Direzione Generale per gli Ammortizzatori Sociali ed Incentivi all’Occupazione ed all’INPS: nell’ipotesi di una maggiore riduzione occorre, invece, un nuovo accordo. Ai fini della gestione complessiva del contratto si ricorda che, in via generale, i lavoratori in solidarietà non possono effettuare prestazioni straordinarie.
Procedura sindacale
Anche la procedura sindacale cambia e si passa per la CIGO, da quella “semplificata” prevista per il COVID-19, a quella disciplinata dall’art. 14.
Con la procedura di informazione e consultazione sindacale, il datore di lavoro, in caso di sospensione o riduzione dell’attività lavorativa, ha l’obbligo di comunicare, in via preventiva, alla RSA o alla RSU o, in mancanza, alle strutture territoriali delle associazioni sindacali comparativamente più rappresentative a livello nazionale, le cause, l’entità, la durata precedibile ed il numero dei lavoratori interessati. La circolare n. 139/2016 dell’INPS chiede, pena la improcedibilità dell’istanza (ma la legge non dice nulla in merito) che la comunicazione datoriale debba avvenire con raccomandata.
Alla comunicazione segue l’esame congiunto che può essere richiesto da una delle parti (quindi anche dall’imprenditore): l’oggetto dell’incontro è, indubbiamente, l’esame della situazione complessiva ed è finalizzato alla tutela degli interessi dei lavoratori in relazione alla situazione di crisi.
La norma fissa termini perentori per la conclusione dell’esame congiunto (che può terminare anche senza alcun accordo): 25 giorni, ridotti a 10 nel caso in cui l’impresa occupi fino a 50 dipendenti.
Questa è la regola generale che può essere superata (comma 4) allorquando a fronte di eventi non oggettivamente evitabili la sospensione o la riduzione di orario non possano essere differite: in questo caso il datore di lavoro deve comunicare alle proprie rappresentanze interne o, in mancanza, alle strutture territoriali sopra individuate, la durata prevedibile della sospensione o della riduzione ed il numero dei dipendenti interessati. Se la riduzione di orario è superiore alle 16 ore settimanali, su richiesta di una delle parti, che deve avvenire entro 3 giorni dalla comunicazione datoriale, si deve addivenire ad un esame congiunto concernente sia la previsione della ripresa della normale attività produttiva che la distribuzione degli orari di lavoro. La procedura si deve esaurire entro i 5 giorni successivi a quello della richiesta.
Queste disposizioni, che hanno una portata generale, trovano applicazione in edilizia e nel settore dei lapidei (sia dell’industria che dell’artigianato) soltanto alle richieste di proroga del trattamento con sospensione dell’attività lavorativa oltre le 13 settimane.
L’art. 14 ricorda, infine, che nella istanza di concessione, da presentare all’INPS, va data comunicazione relativa agli adempimenti della procedura.
Brevemente, anche alcuni riferimenti alle procedure di consultazione sindacale per gli interventi straordinari: qui, ad essere chiamato “in ballo” è l’art. 24 che, senza entrare nel merito dei tempi e delle condizioni (cosa che ci porterebbe molto lontano da questa riflessione prevede tempi certi e scadenze perentorie.
Presentazione di istanze e relazioni di accompagnamento
Le istanze per la CIGO, accompagnate da specifiche e puntuali relazioni tecniche vanno presentate i 15 giorni successivi alla sospensione o alla riduzione dell’orario di lavoro, con l’eccezione degli eventi non oggettivamente evitabili per i quali il termine è quello della fine del mese successivo a quello nel quale si è verificato l’evento. Se le domande vengono presentate oltre i termini, non si potrà andare indietro per più di una settimana dalla data di presentazione.
Per i provvedimenti di CIGS l’istanza va presentata attraverso il sistema telematico della
CIGS online alla Direzione Generale degli Ammortizzatori Sociali e della Formazione del
Ministero del Lavoro entro 7 giorni dalla conclusione della trattativa sindacale.
Limiti di spesa
L’art. 40, comma 3, ricorda che tali provvedimenti integrativi non sono illimitati ma sottoposti ad un limite di spesa pari a 163,7 milioni di euro per il 2021. L’INPS monitora la spesa e, qualora, anche in via prospettica, si preveda uno “sforamento” blocca la ricezione delle domande.