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La rivista online di Legacoop Liguria
Ed. Ottobre 2016

La città ferita: lavoro e sindacato nella Genova industriale

Atteso dagli studiosi da tempo, è uscito per Ediesse ed è stato presentato il 30 giugno di quest’anno a Palazzo Ducale il terzo volume sulla storia della Camera del lavoro di Genova, che copre il periodo lasciato scoperto dalle precedenti ricognizioni del biennio 1980-81, dalla prima a cura di Gaetano Perillo e Camillo Gibelli sugli albori e le prime mosse dell’organizzazione sindacale in Liguria, al secondo volume curato da Paolo Arvati e Paride Rugafiori, dedicato agli anni della Resistenza, della ricostruzione postbellica e di riassetto della città industriale.

 

Per la prima discussione pubblica si è volutamente scelta una data emblematica per la città Medaglia d’Oro della Resistenza, che il 30 giugno 1960, qualche giorno dopo un infuocato discorso di Sandro Pertini, si ritrovò unita in piazza dietro i suoi ragazzi con le maglie a strisce, incredula e furiosa nel vedersi designata a sede del congresso nazionale missino. La vicenda è nota, e qui ci limitiamo a segnalarla come una delle chiavi interpretative di una lettura storica approfondita e ben scritta, che giustifica il proprio titolo proprio nei fatti del giugno-luglio ’60, quale punto di snodo di un lungo percorso che aveva preso le mosse 64 anni prima, con la fondazione del primo sindacato genovese nel 1896.

 

L’entità della ferita inferta al corpo sociale della città industriale, e la sua funzione non secondaria nella definizione delle politiche industriali successive, non erano state sin qui indagate nelle loro implicazioni locali e nazionali, così come era sinora assente uno studio di così ampio respiro su un ventennio decisivo per la storia economica e sociale genovese e nazionale, data soprattutto la massiccia presenza di investimento statale nella grande industria e il peso del principale scalo italiano.

 

L’autore, lo storico del lavoro e docente di storia contemporanea all’Università di Torino Fabrizio Loreto, si è avvalso nella ricerca, coadiuvato dalla globalità della bibliografia disponibile, del cospicuo archivio della Camera del lavoro genovese, ora depositato presso l’Archivio storico del Comune di Genova dopo un lungo lavoro di riordino e inventariazione. Il volume rappresenta quindi, implicitamente, anche un indispensabile orientamento e una guida ragionata a quelle carte, finalmente valorizzate e messe a disposizione degli studiosi grazie al contributo continuativo dell’istituzione sindacale e alla collaborazione delle istituzioni preposte alla conservazione del patrimonio archivistico locale.

 

Oltre a dare puntualmente conto dell’intensa stagione di elaborazione strategica, rielaborazione interna, studi e innovative indagini settoriali e territoriali, infine lotte e rivendicazioni che scandiscono il ventennio di storia sindacale genovese preso in esame, nel volume di Loreto è la città di Genova con il suo hinterland a sfondare la cornice, per svelarsi per la prima volta in una ricostruzione esemplare per chiarezza espositiva, capacità di sintesi e contestuale rigore storiografico.

 

Prende così consistenza una Genova di inizio anni sessanta che stenteremmo a riconoscere nell’attuale, se non ne sopravvivesse ancora nel panorama cittadino qualche vestigia da archeologia industriale. Scorre il recente passato cantieristico, meccanico e siderurgico, articolato lungo la costa di Ponente e delle sue valli interne: l’industria pesante a partecipazione statale con la sua mole occupazionale ripartita in una pluralità di comparti; il restante tessuto imprenditoriale privato, sempre debole strutturalmente, con i poli della chimica, dell’armamento e dell’alimentare in prima linea; il terziario in costante incremento, già prefigurando la futura natura prevalente; infine l’irrilevanza storica nel settore agricolo, accentuata da una consistente migrazione interna responsabile della seconda ondata di spoliazione delle aree interne, dopo la grande emigrazione ottocentesca.

 

L’altro polo dell’economia genovese, quel porto così strettamente correlato all’industria ma contemporaneamente attivo sul piano mercantile, emerge pur tra le croniche difficoltà per volumi delle merci in transito e per la centralità sociale dei suoi operatori riuniti in cooperative e compagnie: classe nella classe delle migliaia di addetti avvicendatisi sui moli del principale scalo mediterraneo sino alla rivoluzione dei container e l’espansione a ovest delle operazioni commerciali, che a fine sessanta determina il declino dell’autorganizzazione della manodopera.

 

La terra di mezzo, il poroso angiporto ancor lontano dall’esser meta di turismo di massa, garantisce il ruolo di cerniera nel suo essere contemporaneamente insediamento abitativo a forte connotazione operaia (insieme ai nuovi insediamenti popolari inerpicati sulle immediate colline) e sede del vivacissimo tessuto di piccole e medie imprese orbitanti a vario titolo intorno ai traffici mercantili e commerciali.

 

La dilatazione della città, inclusa come era e rimane tra i suoi stretti confini naturali, accompagna il boom produttivo e si piega alle esigenze di un moderno centro industriale, con soluzioni di forte impatto urbanistico e sociale che inevitabilmente influenzano e condizionano le scelte politiche e amministrative. L’edilizia si attesta come comparto centrale, e non ne sfuggono le conseguenze in termini di sicurezza sul lavoro e di impatto su un ambiente la cui fragilità emerge con le frane urbane e soprattutto con l’alluvione del 1970, tragica seconda ferita che si abbatte su un tessuto civico già duramente provato, ma nello stesso tempo prova riuscita della estensione e tenuta dei meccanismi di solidarietà collettiva.

 

La città, divisa secondo il sociologo Luciano Cavalli nel suo noto studio del 1965, pulsa però ancora unitariamente nel suo cuore e nel suo hinterland, scanditi entrambi dai ritmi imposti da un lavoro che non conosce tregua. Il suono delle sirene, nelle fabbriche come nel porto, regola gli orari cittadini e uniforma un tessuto sociale plurimo e composito, sulla cui identità di classe si sono in vari tempi interrogati storici, letterati, sociologi. Il capitolo dedicato da Loreto alle culture del lavoro appare dunque centrale, anche nella rilettura dello stereotipo dell’operaio genovese nel passaggio da una tipologia antica di mestiere (in cui ancora sopravvivono competenze e abilità artigiane), ai cambiamenti indotti dalla produzione di massa, volano del miracolo economico di inizio sessanta.

 

Proprio in quello sforzo collettivo a supporto del breve boom nazionale si possono già individuare le debolezze e le carenze strutturali che connoteranno con forza il successivo, lungo, declino della stagione industriale genovese, i cui squilibri vengono denunciati costantemente dalla centrale sindacale e dalle proprie articolazioni territoriali e di categoria. Le carte della Camera del lavoro aiutano anche a comprendere l’entità dei sacrifici imposti alla città e ai suoi lavoratori da questo enorme sforzo produttivo, risvolto di una medaglia coniata in una breve congiuntura e incautamente rimpianta come età aurea dello sviluppo industriale locale e nazionale. La città appare ferita anche nella sua complessa urbanistica, segnata dalla compresenza in spazi ristretti di abitato, industrie e infrastrutture, in perenne emergenza abitativa nella difficoltà di rispondere con elasticità ai ritmi di una demografia instabile, che segue i cicli di maggiore o minore intensità occupazionale.

 

Il forzato risveglio, dopo la stagione di massima produttività e limitata crescita occupazionale, è scandito dai moniti di un inascoltato Istituto ligure di ricerche economiche e sociali (Ilres) che nel 1971 indica le direttrici del rilancio cittadino non in una difesa a oltranza dell’industria di Stato, bensì nella transizione governata al terziario e nell’interconnessione tra un sistema unificato di porti e le infrastrutture ferroviarie necessarie ad assecondare la rivoluzione nei traffici marittimi indotta dai container. La lunga deindustrializzazione è già iniziata, e la Genova degli anni settanta accompagna con preoccupazione e solidarietà le frequenti interruzioni rivendicative e di protesta da parte della sua combattiva classe operaia.

 

Gli striscioni e le bandiere delle manifestazioni e degli scioperi dei comparti lavorativi, di cui è ricco l’archivio fotografico della Cgil genovese, testimoniano delle lunghe lotte nel vasto e articolato universo Ansaldo, dell’inesorabile declino e smantellamento della cantieristica e della siderurgia a partecipazione statale, delle eclatanti occupazioni delle industrie nel settore privato, dalla Pettinatura Biella alla Torrington e alla Chicago Bridge. Emerge già anche l’imponente città dei servizi, con migliaia di occupati nelle municipalizzate e in quella scuola i cui conflitti, al volgere dei due decenni, aspirano a saldarsi con le istanze dell’autunno caldo sindacale.

 

Nuove ferite si aggiungeranno negli anni, e appare coerente e corretta la scelta di chiudere lo studio alla data, altamente simbolica, dell’omicidio di Guido Rossa il 24 gennaio 1979, colta dall’autore a elemento di cesura della storia del lavoro e contestualmente di un periodo della vita genovese. Al ricordo del sindacalista ucciso dalle Brigate rosse si unisce quello dei sindacalisti della classe quali il mai dimenticato Franco Sartori, o del sindaco tranviere Fulvio Cerofolini, di cui Loreto ha recentemente pubblicato la biografia insieme a Federico Croci.

 

Degni di menzione, infine, alcuni episodi a testimonianza della centralità assunta in quegli anni dall’organizzazione sindacale anche nell’elaborazione di pratiche dal basso: l’intensa parentesi dei consigli di fabbrica, che sostituiscono le commissioni interne garantendo maggiore democrazia interna; le pratiche di partecipazione attiva, quali la lotta contro l’inquinamento urbano dalle donne di Cornigliano (sede con Taranto e Bagnoli degli stabilimenti a ciclo integrato dell’Italsider); l’esperienza del coordinamento donne della Flm, già studiata da Giovanna Cereseto in Non è un gioco da ragazze con l’ausilio di carte raccolte e ordinate con cura dalle stesse operaie metallurgiche; la solidarietà internazionale dei portuali genovesi e della cittadinanza, con l’allestimento della nave Australe guidata nel 1973 in Vietnam da Luciano Sossai.

 

Oppure, nello stesso porto già centro a inizio Novecento della prima esperienza cooperativa di gestione dei servizi, dove i lavoratori della Compagnia unica lavoratori merci varie (Culmv) intitolano allo storico dirigente sindacale Antonio Negro quella cooperativa di consumo aperta alla cittadinanza che assolverà un ruolo non secondario di raccordo tra città e scalo, grazie all’estensione dei meccanismi auto-organizzativi e di tutela propri della cooperazione a una ben più vasta platea di beneficiari.   

 

Sebastiano Tringali

 

Fabrizio Loreto, Il sindacato nella città ferita. Storia della Camera del lavoro di Genova negli anni sessanta e settanta, Ediesse 2016.